mercoledì 8 dicembre 2010

Raperonzolo e l'ordine simbolico

Il film di animazione di Disney Rapunzel sta riempiendo i cinema per Natale, e merita un commento da parte di DiNuovo, un gruppo che si occupa della trasmissione dei valori da una generazione all’altra di donne. Disney ha ovviamente una grande responsabilità nella trasmissione dei valori da una generazione all’altra: come le generazioni dei nostri nonni apprendevano l’ordine simbolico dalle fiabe, le nostre ragazze imparano i ruoli sociali e sessuali dai cartoni animati di Disney. Nei grandi classici, Biancaneve, La Bella Addormentata, Cenerentola, le trame finora erano state sostanzialmente rispettate: c’erano le strepitose matrigne cattive, marchio distintivo di Disney, la fanciulla era adeguatamente bella aggraziata e pura, e sostanzialmente inerme davanti ai mali del mondo, il principe era adeguatamente bello e di rango sociale elevato, e destinato quindi anche a una funzione salvifica dalle grinfie. Le cattive donne adulte angariavano in vario modo la donna giovane che è incapace di difendersi, ma alla fine il bene trionfava e le nozze con il principe protettore preludevano al vissero felici e contenti.
Anche Rapunzel originariamente seguiva lo stesso schema, ma questa volta gli studi di Disney hanno deciso di intervenire pesantemente sulla trama, pur mantenendone alcuni elementi caratteristici. Nella trama originale, quando la regina è incinta desidera mangiare i ravanetti dell’orto della strega, che si chiama dama Grothel. il re glieli va a prendere ma viene sorpreso e per potersela cavare promette di consegnare la figlia nascitura alla strega, la quale essendo vecchia e infertile ha bisogno di una giovane servetta, che relega a fare le faccende nella torre. Nella storia di Disney, non ci sono ravanetti, c’è un fiore magico che solo può salvare la vita alla regina. E’ in possesso di dama Grothel che lo usa, egoisticamente, per conservare se stessa sempre giovane e bella, per non invecchiare, e quindi anche per non morire lei stessa. Non si capisce bene perché, secondo Disney, dovrebbe invece offrirlo altruisticamante per salvare la vita alla regina. Comunque, visto che lei non lo fa, i soldati vengono mandati e le sequestrano il fiore. La regina viene guarita, e le magiche proprietà ringiovanenti del fiore si trasferiscono nei capelli della bimba. Per questo Dama Grothel rapisce di notte la piccola e la sequestra nella torre, dove quando la pettina ottiene nuovamente di poter tornare giovane. E’ l’ossessione per il corpo giovane e bello che diventa la radice del male.
Alla radice del male nella fiaba c’era invece una trasgressione , un diritto violato: l’orto apparteneva alla strega. Nel cartone c’è una lotta tra due egoismi, quello della regina e quello della strega, o forse lo scontro tra due pulsioni di vita, quella della regina e quella della strega. E alla fine ci viene mostrato che questo è uno scontro fra due stili di vita, quello della regina che è madre e che è accoppiata a un vecchio e saggio Re che ama sia lei sia la sua bambina, messo in contrasto con lo stile di vita della donna sola che vuole rimanere eternamente giovane e tenersi tutto per se. Il primo trionfa, il secondo porta alla dannazione. Ci si chiede spudoratamente di parteggiare per un lato, ma all’inizio del film non ci si spiega bene perché, salvo perché è il lato dei kalos k’agathos;, e alla fine del film la sconfitta della strega che cade nel suo stesso precipizio diventa essa stessa la ragione che giustifica il nostro parteggiare per la regina e per la principessa sua erede: i vincenti hanno sempre ragione e i perdenti hanno sempre torto.
Nel cartone si prende a prestito come movente della strega quello che era della matrigna di Biancaneve che era una narcisa ferita, e la competizione con la bellezza della figliastra era alla radice del suo odio. Ma qui non si capisce bene cosa sia, simbolicamente parlando, questo fiore magico: è la tecnologia usata per scopi egoistici? E perché visto che è così potente non si può dividere e non ne possono beneficiare tutti?In una storia intessuta di simboli, ce n’è uno fondamentale che non simboleggia niente…
Ma il maggior cambiamento è nelle personalità della fanciulla e del principe. La Rapunzel del cartone è tutt’altro che sprovveduta e imbelle, è una che ha i suoi sogni, i suoi progetti, e se la sa cavare da sola, se necessario a colpi di padella. Giustamente, perché le ragazze di oggi non possono riconoscersi nelle principesse di una volta, tutto look e niente smart. Magari ogni tanto ha una crisi, e oscilla colpevolizzandosi tra il ruolo della figlia obbediente e quello della donna che persegue il suo progetto, ma fondamentalmente Rapunzel di Disney è una che sa cosa vuole, e quello che vuole è andare nella scena pubblica, vuole andare a vedere le lanterne che in suo ricordo ogni anno i veri genitori lanciano nel cielo, vuole prendersi il suo posto nel mondo, non certo di rintanarsi in un’altra torre di tipo matrimoniale.
Il principe invece non è un principe: è un ladruncolo, piuttosto infingardo, che anche nel corso del film non compie alcuna particolare prodezza, anzi, cerca di svignarsela appena può. La sua virtù principale è di essere di bell’aspetto, e forse di avere un certo senso dell’umorismo. Si svela anche che in realtà cerca di fare il guappo perché era un bambino abbandonato e timido. Solo alla fine, miracolosamente, decide di innamorarsi di lei – o comunque decidere di accettare l’opportunità certamente notevole che gli si offre: di venire da lei risuscitato quando è già morto, e di potere infine impalmare una principessa, lui che, socialmente parlando, non era nessuno. Insomma, un toyboy, un bamboccione che per fortuna incoccia in Rapunzel, altrimenti per uscire dalle sue difficoltà non aveva trovato di meglio che la scorciatoia di mettersi a fare furti con destrezza dei brutti ceffi, e chissà come finiva.
Insomma lo schema è: non è che c’è un vero motivo per innamorarsi e convolare a giuste nozze formando una nuova coppia, salvo che è l’unico modo per venir fuori dalle grinfie delle madri iperprottive e/o ipernarcisiste, e che gli uomini sono tanto carini, un po’ sciocchi, e hanno bisogno di ragazze in gamba come noi. E poi qualcosa nella vita bisogna pur fare, perché non si può vivere senza sogni: tanto vale, l’amour!
Mia figlia di 13 anni era molto contenta all’uscita del film. Io ero un po’ irritata per l’attacco eccessivamente plateale alla vecchia strega single. Ma soprattutto ero un po’ perplessa: i principi si trasformano in Re, ma come diavolo farà il nostro furbetto perdigiorno a trasformarsi in un venerabile uomo di governo come è suo suocero? E’ chiaro che non è in grado di farlo, e le ragazze di oggi sono abbastanza accorte da capire che da queste premesse risulta che toccherà a loro essere re e regine insieme, essere regine senza ma senza un vero re come un tempo al fianco, essere insomma donne adulte autonome e sole, ancorchè formalmente accoppiate..
Oppure succederà qualcosa, qualcosa sul mercato del lavoro, qualcosa nelle carriere, qualcosa nei soffitti di vetro, una vera magia che trasformerà quel simpatico bamboccio in un Re e la nostra Rapunzel in una mite regina consorte? Staremo a vedere: per adesso, Rapunzel ci trasmette il senso di un ordine simbolico” in mezzo al guado”: che sta evolvendosi, ma ancora non si sa verso dove. Il cavallo, il camaleonte, la feccia che sogna sono gustosissimi,e se siete interesati all’evoluzione delle relazioni di genere vale la pena di andare a vedere Rapunzel.

domenica 31 ottobre 2010

Da Daniela De Pietri, una riflessione su Ruby

Ieri è arrivato, nella mia posta di consigliera comunale. il curriculum di Assmaa Bou…... nata a Casablanca nel 1992. E’ arrivata in Italia all’età di 10 anni con la sua famiglia. Assmaa dopo la scuola media ha frequentato un istituto professionale per tre anni e a 16 anni ha iniziato a cercare lavoro.

Assmaa è orfana di madre (è morta di cancro al seno nel nostro ospedale 4 anni fa ), ha tre fratelli di cui una, la più piccola, con la sindrome di Down. Assmaa è intelligente, bella, divertente . Assmaa , se si tralasciano alcune esperienze lavorative come cameriera o aiuto-parrucchiera, non riesce a trovare un lavoro, come le tante figlie italiane e immigrate di un paese immobile, crudele e ancora asservito a vecchi clichè.

Assmaa è Ruby. Ruby è Assmaa.

Sono queste le scelte che hanno davanti a sé le giovani donne immigrate dal Nord-Africa.
Mi sorprende e mi delude che nessuno/a proprio nessuno/a di quelli che scrivono sui giornali non abbia speso due righe della propria pietas nei confronti di una giovane donna, immigrata quando era bambina dal proprio paese, affidata a una comunità e con evidenti disagi, che è stata sfruttata, tradita e usata da uomini e donne laidi e potenti.

Nosheen, 20 anni, pakistana, è ancora in coma, massacrata dal fratello che voleva farla sposare a un cugino di 50 anni.

Nosheen è Ruby, Ruby è Nosheen

Dipende da chi incontri sulla tua strada .

Se non dimostreremo che c’è anche un altro mondo fatto di diritti, di rispetto, di merito, di ambizione, di accoglienza, queste giovani figlie saranno sempre preda di un orco che, travestito da benefattore le renderà schiave

venerdì 8 ottobre 2010

Riflessioni su Sara

Piango lo strazio di Sara.La morte di Sara proviene da un atavismo che non
verrà mai eliminato del tutto, perchè si annida nel sostrato evolutivo della
specie. Ma che deve essere e verrà educato, civilizzato, legislato,
cambiato, in maniera che non succeda mai più nei fatti alle donne quello che
succede a lei e a tante altre. E sapete che in questo sono impegnata. E
piango per Sabrina, che, anche ammesso che sapesse, resta una povera
vittima.

Però adesso devo dirvi qual'è la mia preoccupazione massima di questi
giorni.
Difendere mia figlia, tredici anni, dall'uso mediatico di Sara. Evitare che
la storia di Sara si trasformi per lei in una storia di Cappuccetto Rosso,
in cui le si fa capire che lei è portatrice di un corpo "naturalmente
vittimizzabile". Io non voglio che mia figlia sappia di cordicelle, di
stupri pre o post mortem, di corpi scempiati irriconoscibili. Che si
identifichi con Sara quando non è ancora abbastanza forte. E devo dire che
anche se avessi un figlio maschio di tredici anni troverei forse ancora più
equivoco e pericoloso che gli si indicasse il rischio di diventare orco come
il suo "peccato originale", che gli si suggerisse una vicinanza tra il
piacere sessuale e l'essere orco, che viene perseguita attivamente in tanta
pornografia. Voglio, contro tutti i miei principi, "censura"? Non so, forse,
sarei disposta a barattare moderazione con censura pur di evitare questo
luridume mediatico.

Sento il bisogno di una "autocoscienza" fatta tra madri femministe - senza
escludere quelle che non avendo figli vogliano farne parte- perchè anche
questo problema è alla base della "non trasmissione" del femminismo. Io non
ho trasmesso il femminismo a mie figlie (o l'ho trasmesso solo parzialmente)
esattamente perchè per radicarle nel femminismo dovevo prima indicare loro
questa naturale vittimizzabilità, ed ero riluttante a farlo perchè temevo
che tarpasse in qualche modo il loro sviluppo psichico, che le rendesse meno
libere. Anche se, nella mia stessa presa di coscienza femminista ha
certamente avuto un ruolo anche la vicenda di Rosaria Lopez e Donatella
Colasanti - il Circeo. Ma avevo ventuno anni, non tredici.

lunedì 30 agosto 2010

Convertamoci all'Islam?!?

Quello di Gheddafi non è folklore, è un altro segnale che Berlusconi lancia alle donne e agli uomini italiani, un segnale intriso di significati di genere. E dice: state attente, donne italiane, che se continuate a romperci le scatole vi tratteremo come nei Paesi Islamici. E dice, state attenti, uomini italiani, che se non le domate voi le vostre donne , saremo noi, maschioni cazzuti, a sfilarvele di sotto. Perché si sa, dalle donne bisogna andare con la frusta.
La messinscena di Gheddafi è stata concordata completamente con il Ministero degli Esteri e con il Governo. E’ impensabile che sia il contrario. In una visita di Stato, tra due leaders che non solo consapevoli dell’immagine ma abili manipolatori di ogni mossa mediatica. E’ il Giornale, l’Organo del Presidente del Milan, a dettare la linea . Dice, il Giornale di oggi 30 agosto: primo, questo è un circo, ma è più divertente di quello della politica – il che è vero perché per politica il Giornale intende gli affari del signor Tulliani a Montecarlo. Secondo, in cambio di queste farneticazioni, vi diamo tanti bei soldoni. Autostrade, alloggi, affari, tutti messi in fila in bell’ordine per la gioia…Per la gioia di chi?
Di quei cinque miliardi di dollari che verranno versati a Gheddafi nei prossimi 25 anni, quanti ne torneranno indietro non alle industrie italiane, ma ai politici italiani, e di quel parte politica?Se lo chiede il lettore del Giornale? Cosa verrà fatto nell’ambito della cooperazione transfontaliera a quelli che Gheddafi trattiene nei suoi lager, lo sa il lettore del Giornale?Le ha viste le fotografie delle frustate sul corpo degli Etiopi detenuti da Gheddafi?
Pare che la presenza di Emma Marcegaglia al ricevimento di 800 persone che si terrà in onore del missionario dell’Islam sia in forse. Chissà. Ci piace immaginare che anche lei, donna intelligente e capace, pensando a se stessa e a sua figlia, qualche remora ce l’abbia, e qualche dubbio sull’opportunità di fare affari con uno che le chiede di convertirsi. E la Chiesa Cattolica? La Chiesa che tramanda un’immagine della donna che ha una sua dignità, diversa ma pari all’uomo? La Chiesa che ha rivendicato le radici Cristiane dell’Europa? Che questa sia una mossa mediatica per fare finalmente accettare a noi senza Dio queste radici Cristiane nella futura costituzione Europea? In fondo, i Cattolici, a noi donne ci trattano meglio dei Musulmani, ragazze, accontentiamoci!

giovedì 24 giugno 2010

Chi ha dato ha dato ha dato...Un pò di storia delle pensioni alle donne e mia personale

Sono tra coloro che in tempi non sospetti, prima della riforma Dini del 1995, ha sostenuto pubblicamente che il pensionamento delle donne, che allora nel settore privato obbligatoriamente (obbligatoriamente!) era di 55 anni era una odiosa discriminazione verso le donne perchè danneggiava tra l’altro le carriere femminili, impedendo loro di accedere ai gradi alti delle carriere. Continuo a pensare che i diritti siano una cosa seria, e l’eguaglianza davanti alla legge un principio fondamentale, come pure la libertà.
Allora come oggi, auspicavo una riforma delle pensioni che ne approfittasse per allargare le possibilità di scelta delle persone: questo è una delle possibili caratterizzazioni formali del principio di libertà. Proponevo che andasse investigata la possibilità di eliminare un’età fissa obbligatoria per tutti e tutte, e lasciare liberi, se erano ambedue d’accordo, il datore di lavoro e il lavoratore di scegliere insieme quell’età individuale più adatta a ciascun singolo, nell’ambito diciamo di un decennio o di un quindicennio, poi si può trattare qual’è questo decennio, tra i 60 e i 90 anni, in modo da mettere al sicuro i bilanci degli enti pensionistici.
Mi ricordo un convegno, in via dei Frentani, nel 1997: ero incinta, con una panza gigante, al caldo, stanca. Ho parlato di questo. C’erano anche persone che in seguito sono diventate ministro. Non mi si è filato nessuno: il convegno era delle donne del PDS, i piani nobili che si occupavano di Stato sociale e di lavoro nel Partito, prevalentemente ma non solamente maschili, non hanno neppure sentito il ronzio lontano di questa proposta. Nella lotta serrata per chi era capace di attirare attenzione mediatica, di disporre di fondi per organizzare eventi, non avevo una chance: ho lasciato perdere, mi sono goduta la maternità.
Oggi sono esilarata da questo paradosso: che l’equalizzazione dell’età pensionabile sia stata fatta non per non discriminare le donne, impedendo loro di accedere ai gradi alti della carriera, ma per non discriminare gli uomini mandandoli obbligatoriamente in pensione più tardi!!!
Che si arrivi nel peggior modo possibile: di botto, senza scalone, senza alcun rispetto per le donne, concrete, che di colpo si trovano a dover cambiare il progetto di vita che si erano fatte.
Che ci si arrivi beffate: perchè per mantenere la pensione a 60 anni o almeno la gradualità nel raggiungimento del 65, alle donne era già stato tolto molto in passato.
O almeno, io non sono sicura che lo scambio sia avvenuto, perchè io non c’ero al governo, ma penso sia successo. Perchè solo così mi spiego quel che è stato fatto alle pensioni delle donne. Credo che sia successo che chi pensava, onestamente e sinveramente, di fare gli interessi delle donne ha accettato uno scambio. Ha accettato una serie di misure che ledevano fortemente la autonomia delle donne, specie di quelle povere e anziane, e quindi un presupposto della loro libertà. Si è accettato, per esempio, il limite congiunto di coppia al massimo della pensione sociale (cioè, che se una donna anziana è sposata con un uomo che ha circa 22 mila euro di reddito annuo, e lei di reddito suo non ha nulla, non gli viene data la pensione minima: se invece se lo divorzia si). Si è accettato che le vedove che hanno lavorato tutta la vita e quindi hanno la pensione loro, perdano la metà delle pensione di reversibilità del marito, che era stata anch’essa regolarmente pagata da contributi, rendendo così meno appetibile per le donne andare a lavorare anzichè restare casalinghe. In cambio si è ottenuto il passaggio graduale ai 65 anni, che ora viene bruscamente tolto, e una fantomatica assicurazione alle casalinghe. Tolto perchè ritroviamo poi a fare i conti con l’Europa, che è stata sempre amica delle donne e dello Stato sociale, e che appare oggi invece nell’ottica distorta di nemica.
Mi perdonino coloro che hanno difeso gli interessi delle donne ai tavoli delle trattative sulle pensioni. Ci troviamo obbligate, la prossima volta, a seguire più da vicino quel che fanno e ad argomentare di più le nostre ragioni. Che erano, è vero, ragioni di principio: allora come oggi, ritengo che anche la libertà sia un principio fondamentale. Ma seguendo le ragioni pratiche della ragion di cassa e del gradimento dei votanti, anzichè i principi, ci ritroviamo oggi...cornute e mazziate?

sabato 19 giugno 2010

Caro dottor Marchionne,
io non so se sia vero o no che gli operai stanno facendo sciopero per vedersi la partita della Nazionale. Ma se anche fosse? Farebbero davvero male?
Se hanno un buon motivo per scioperare, e lo abbinano al piacere di vedersi la partita, mi scusi caro dottor Marchionne, stanno facendo quello che noi economisti insegniamo agli studenti del primo anno che bisogna fare, e che l’agente razionale fa: massimizzano la loro utilità, prendono due piccioni con una fava , sono efficienti. Niente di male, quindi.
Se invece non hanno un buon motivo per scioperare, ma vogliono solo vedersi la partita, cosa dovrebbero fare, secondo lei? Prendersi un giorno di ferie? Possono davvero tutti prendersi un giorno di ferie per la partita, o se lo fanno come singoli diventa l’anticamera di un licenziamento?
Eh, mi risponderà lei, certo che è l’anticamera del licenziamento! Ci mancherebbe pure, se tutti prendono un giorno di ferie per la partita della nazionale succede che, come lei dice “si uccide l’industria”, si perdono moltissimi soldi in più che i loro semplici salari, e se la Fiat chiude, anche se non lo licenzio perchè si è preso un giorno di ferie, il lavoratore il lavoro lo perde lo stesso. Eh già.
Però provi un momento a guardarla dalla parte dell’operaio. Intanto, secondo lei, i manager, per esempio, PierSilvio Berlusconi, la partita la guarda? E lei stesso, dottor Marchionne, la partita, la guarda? E non le farebbe un pò rabbia, a lei, se fosse un operaio, di non potersi vedere la partita perchè deve stare a costruire automobili? Penserebbe magari che di ‘ste automobili, mi scusi, ce ne sono proprio tante, tantissime, troppe. Basta vedere il traffico, ce ne sono troppe. In fondo, via, se ci fosse qualche automobile in meno o qualche automobile un pò più vecchiotta, ma io potessi vedermi in pace la mia partita...Non so, io se fossi un operaio penserei così. E se fossi un manager cercherei delle soluzioni organizzative che consentono agli operai di vedersi la partita. L’umanità ha fatto cose meravigliose, Internet, l’atomica, i missili sulla luna, e non può organizzare la vita lavorativa delle persone in modo che la gente possa vedersi in pace la partita? Ci deve essere un modo!
Magari di turmo il giorno della partita ci può mettere le operaie, che di vedere dei signori in mutande che tirano calci a una palla di solito non si capacitano. Ammesso che operaie alla Fiat ce ne siano ancora, con i turni che proponete...
Le propongo ancora un altro punto di vista, quello di una persona normale, non so, per esempio, una giovane madre, ma lei pensa davvero che questa persona possa fare quei turni scombinati che voi proponete a Pomigliano? E del bambino, cosa ne fa? Nidi di notte non ce n’è, la nonna non può andare più in pensione a cinquantacinque anni –giustissimo percarità- ma sta il fatto che non può tenerle il bambino. Lo lascia col papà... ma se la immagina lei la vita familiare di questi due ragazzi che fanno i turni come a Pomigliano, magari sfasati? Le piacerebbe che sua moglie dovesse fare quei turni? Ci metta un prezzo: che stipendio chiederebbe lei, o chiederebbe sua moglie, per fare quei turni lì?
Nessuno vuole uccidere l’industria, dottor Marchionne. Ma vorremo che ci si ricordasse sempre che si lavora per poter vivere meglio. Lavorare e produrre non è un fine, è un mezzo per potersela godere. Noi crediamo che sia tempo che le donne chiedano che sia fatta una politica della vita quotidiana, e questo vuol dire anche delle relazioni industriali che mettano al centro la vita quotidiana di uomini e donne. Qui, da noi, che siamo ricchi. E se questo vuol dire che perdiamo delle quote di mercato perchè ce le rubano i paesi poveri...e dottor Marchionne, vuol dire che si arricchiranno loro e non noi, ed è meglio così perchè tutti loro sono poveri, e noi siamo già ricchi. Mi sembra così semplice, quel che dico, così ovvio, una cosa che direbbe una bambina delle elementari.
E invece so bene che è eretico, completamente eretico. Eretico non rispetto alla nostra religione ufficiale, percarità, anzi, sarebbe del tutto coerente col Vangelo dei cristiani. Eretico rispetto alla religione nostra effettiva di cui lei è un gran sacerdote, dottor Marchionne, la religione dell’industria, del profitto, della crescita economica. Io vedo le sue ragioni dottore, non c’è chi non le veda. Non dico che lei abbia torto. Ma lei, le vede le nostre, di ragioni? Guardi che anche noi abbiamo ragione.

mercoledì 9 giugno 2010

"Insegneremo anche a una cuoca come si fa a dirigere lo Stato"

Mi hanno sempre affascinato queste parole che un poeta da me molto amato, Vladimir Majakovskij, mette in bocca a Lenin: e se il comunismo fosse uno Stato diretto dalle cuoche, e non quella cosaccia lì che hanno fatto in Unione Sovietica e in qualche altro posto, io sarei ancora comunista (a venti lo ero ancora, a trenta certamente non più, ma di questa perdita di fede parleremo un'altra volta).
Le cuoche che mandano avanti una cucina, per la propria famiglia, in una mensa o in un ristorante, hanno le competenze concrete del "provisioning", il provvedere. Hanno cura che sia soddisfatto il bisogno più di base, nutrirsi.
L'economia secondo me, come secondo Julie Nelson, deve smettere di essere una scienza astratta del mercato, e diventare una scienza concreta del "provisioning", del come nutrire l'umanità senza distruggere il pianeta. Questo mi sembra sufficiente come primo post di presentazione. Come allegato, metterò di lato la poesia di Majakovskij, che è più utile a capire cosa è stato il comunismo di tutti i libri neri che possa propinarci l'editore che ci governa, il Mostro Sacro Burlesco.