giovedì 24 giugno 2010

Chi ha dato ha dato ha dato...Un pò di storia delle pensioni alle donne e mia personale

Sono tra coloro che in tempi non sospetti, prima della riforma Dini del 1995, ha sostenuto pubblicamente che il pensionamento delle donne, che allora nel settore privato obbligatoriamente (obbligatoriamente!) era di 55 anni era una odiosa discriminazione verso le donne perchè danneggiava tra l’altro le carriere femminili, impedendo loro di accedere ai gradi alti delle carriere. Continuo a pensare che i diritti siano una cosa seria, e l’eguaglianza davanti alla legge un principio fondamentale, come pure la libertà.
Allora come oggi, auspicavo una riforma delle pensioni che ne approfittasse per allargare le possibilità di scelta delle persone: questo è una delle possibili caratterizzazioni formali del principio di libertà. Proponevo che andasse investigata la possibilità di eliminare un’età fissa obbligatoria per tutti e tutte, e lasciare liberi, se erano ambedue d’accordo, il datore di lavoro e il lavoratore di scegliere insieme quell’età individuale più adatta a ciascun singolo, nell’ambito diciamo di un decennio o di un quindicennio, poi si può trattare qual’è questo decennio, tra i 60 e i 90 anni, in modo da mettere al sicuro i bilanci degli enti pensionistici.
Mi ricordo un convegno, in via dei Frentani, nel 1997: ero incinta, con una panza gigante, al caldo, stanca. Ho parlato di questo. C’erano anche persone che in seguito sono diventate ministro. Non mi si è filato nessuno: il convegno era delle donne del PDS, i piani nobili che si occupavano di Stato sociale e di lavoro nel Partito, prevalentemente ma non solamente maschili, non hanno neppure sentito il ronzio lontano di questa proposta. Nella lotta serrata per chi era capace di attirare attenzione mediatica, di disporre di fondi per organizzare eventi, non avevo una chance: ho lasciato perdere, mi sono goduta la maternità.
Oggi sono esilarata da questo paradosso: che l’equalizzazione dell’età pensionabile sia stata fatta non per non discriminare le donne, impedendo loro di accedere ai gradi alti della carriera, ma per non discriminare gli uomini mandandoli obbligatoriamente in pensione più tardi!!!
Che si arrivi nel peggior modo possibile: di botto, senza scalone, senza alcun rispetto per le donne, concrete, che di colpo si trovano a dover cambiare il progetto di vita che si erano fatte.
Che ci si arrivi beffate: perchè per mantenere la pensione a 60 anni o almeno la gradualità nel raggiungimento del 65, alle donne era già stato tolto molto in passato.
O almeno, io non sono sicura che lo scambio sia avvenuto, perchè io non c’ero al governo, ma penso sia successo. Perchè solo così mi spiego quel che è stato fatto alle pensioni delle donne. Credo che sia successo che chi pensava, onestamente e sinveramente, di fare gli interessi delle donne ha accettato uno scambio. Ha accettato una serie di misure che ledevano fortemente la autonomia delle donne, specie di quelle povere e anziane, e quindi un presupposto della loro libertà. Si è accettato, per esempio, il limite congiunto di coppia al massimo della pensione sociale (cioè, che se una donna anziana è sposata con un uomo che ha circa 22 mila euro di reddito annuo, e lei di reddito suo non ha nulla, non gli viene data la pensione minima: se invece se lo divorzia si). Si è accettato che le vedove che hanno lavorato tutta la vita e quindi hanno la pensione loro, perdano la metà delle pensione di reversibilità del marito, che era stata anch’essa regolarmente pagata da contributi, rendendo così meno appetibile per le donne andare a lavorare anzichè restare casalinghe. In cambio si è ottenuto il passaggio graduale ai 65 anni, che ora viene bruscamente tolto, e una fantomatica assicurazione alle casalinghe. Tolto perchè ritroviamo poi a fare i conti con l’Europa, che è stata sempre amica delle donne e dello Stato sociale, e che appare oggi invece nell’ottica distorta di nemica.
Mi perdonino coloro che hanno difeso gli interessi delle donne ai tavoli delle trattative sulle pensioni. Ci troviamo obbligate, la prossima volta, a seguire più da vicino quel che fanno e ad argomentare di più le nostre ragioni. Che erano, è vero, ragioni di principio: allora come oggi, ritengo che anche la libertà sia un principio fondamentale. Ma seguendo le ragioni pratiche della ragion di cassa e del gradimento dei votanti, anzichè i principi, ci ritroviamo oggi...cornute e mazziate?

sabato 19 giugno 2010

Caro dottor Marchionne,
io non so se sia vero o no che gli operai stanno facendo sciopero per vedersi la partita della Nazionale. Ma se anche fosse? Farebbero davvero male?
Se hanno un buon motivo per scioperare, e lo abbinano al piacere di vedersi la partita, mi scusi caro dottor Marchionne, stanno facendo quello che noi economisti insegniamo agli studenti del primo anno che bisogna fare, e che l’agente razionale fa: massimizzano la loro utilità, prendono due piccioni con una fava , sono efficienti. Niente di male, quindi.
Se invece non hanno un buon motivo per scioperare, ma vogliono solo vedersi la partita, cosa dovrebbero fare, secondo lei? Prendersi un giorno di ferie? Possono davvero tutti prendersi un giorno di ferie per la partita, o se lo fanno come singoli diventa l’anticamera di un licenziamento?
Eh, mi risponderà lei, certo che è l’anticamera del licenziamento! Ci mancherebbe pure, se tutti prendono un giorno di ferie per la partita della nazionale succede che, come lei dice “si uccide l’industria”, si perdono moltissimi soldi in più che i loro semplici salari, e se la Fiat chiude, anche se non lo licenzio perchè si è preso un giorno di ferie, il lavoratore il lavoro lo perde lo stesso. Eh già.
Però provi un momento a guardarla dalla parte dell’operaio. Intanto, secondo lei, i manager, per esempio, PierSilvio Berlusconi, la partita la guarda? E lei stesso, dottor Marchionne, la partita, la guarda? E non le farebbe un pò rabbia, a lei, se fosse un operaio, di non potersi vedere la partita perchè deve stare a costruire automobili? Penserebbe magari che di ‘ste automobili, mi scusi, ce ne sono proprio tante, tantissime, troppe. Basta vedere il traffico, ce ne sono troppe. In fondo, via, se ci fosse qualche automobile in meno o qualche automobile un pò più vecchiotta, ma io potessi vedermi in pace la mia partita...Non so, io se fossi un operaio penserei così. E se fossi un manager cercherei delle soluzioni organizzative che consentono agli operai di vedersi la partita. L’umanità ha fatto cose meravigliose, Internet, l’atomica, i missili sulla luna, e non può organizzare la vita lavorativa delle persone in modo che la gente possa vedersi in pace la partita? Ci deve essere un modo!
Magari di turmo il giorno della partita ci può mettere le operaie, che di vedere dei signori in mutande che tirano calci a una palla di solito non si capacitano. Ammesso che operaie alla Fiat ce ne siano ancora, con i turni che proponete...
Le propongo ancora un altro punto di vista, quello di una persona normale, non so, per esempio, una giovane madre, ma lei pensa davvero che questa persona possa fare quei turni scombinati che voi proponete a Pomigliano? E del bambino, cosa ne fa? Nidi di notte non ce n’è, la nonna non può andare più in pensione a cinquantacinque anni –giustissimo percarità- ma sta il fatto che non può tenerle il bambino. Lo lascia col papà... ma se la immagina lei la vita familiare di questi due ragazzi che fanno i turni come a Pomigliano, magari sfasati? Le piacerebbe che sua moglie dovesse fare quei turni? Ci metta un prezzo: che stipendio chiederebbe lei, o chiederebbe sua moglie, per fare quei turni lì?
Nessuno vuole uccidere l’industria, dottor Marchionne. Ma vorremo che ci si ricordasse sempre che si lavora per poter vivere meglio. Lavorare e produrre non è un fine, è un mezzo per potersela godere. Noi crediamo che sia tempo che le donne chiedano che sia fatta una politica della vita quotidiana, e questo vuol dire anche delle relazioni industriali che mettano al centro la vita quotidiana di uomini e donne. Qui, da noi, che siamo ricchi. E se questo vuol dire che perdiamo delle quote di mercato perchè ce le rubano i paesi poveri...e dottor Marchionne, vuol dire che si arricchiranno loro e non noi, ed è meglio così perchè tutti loro sono poveri, e noi siamo già ricchi. Mi sembra così semplice, quel che dico, così ovvio, una cosa che direbbe una bambina delle elementari.
E invece so bene che è eretico, completamente eretico. Eretico non rispetto alla nostra religione ufficiale, percarità, anzi, sarebbe del tutto coerente col Vangelo dei cristiani. Eretico rispetto alla religione nostra effettiva di cui lei è un gran sacerdote, dottor Marchionne, la religione dell’industria, del profitto, della crescita economica. Io vedo le sue ragioni dottore, non c’è chi non le veda. Non dico che lei abbia torto. Ma lei, le vede le nostre, di ragioni? Guardi che anche noi abbiamo ragione.

mercoledì 9 giugno 2010

"Insegneremo anche a una cuoca come si fa a dirigere lo Stato"

Mi hanno sempre affascinato queste parole che un poeta da me molto amato, Vladimir Majakovskij, mette in bocca a Lenin: e se il comunismo fosse uno Stato diretto dalle cuoche, e non quella cosaccia lì che hanno fatto in Unione Sovietica e in qualche altro posto, io sarei ancora comunista (a venti lo ero ancora, a trenta certamente non più, ma di questa perdita di fede parleremo un'altra volta).
Le cuoche che mandano avanti una cucina, per la propria famiglia, in una mensa o in un ristorante, hanno le competenze concrete del "provisioning", il provvedere. Hanno cura che sia soddisfatto il bisogno più di base, nutrirsi.
L'economia secondo me, come secondo Julie Nelson, deve smettere di essere una scienza astratta del mercato, e diventare una scienza concreta del "provisioning", del come nutrire l'umanità senza distruggere il pianeta. Questo mi sembra sufficiente come primo post di presentazione. Come allegato, metterò di lato la poesia di Majakovskij, che è più utile a capire cosa è stato il comunismo di tutti i libri neri che possa propinarci l'editore che ci governa, il Mostro Sacro Burlesco.