Il film di animazione di Disney Rapunzel sta riempiendo i cinema per Natale, e merita un commento da parte di DiNuovo, un gruppo che si occupa della trasmissione dei valori da una generazione all’altra di donne. Disney ha ovviamente una grande responsabilità nella trasmissione dei valori da una generazione all’altra: come le generazioni dei nostri nonni apprendevano l’ordine simbolico dalle fiabe, le nostre ragazze imparano i ruoli sociali e sessuali dai cartoni animati di Disney. Nei grandi classici, Biancaneve, La Bella Addormentata, Cenerentola, le trame finora erano state sostanzialmente rispettate: c’erano le strepitose matrigne cattive, marchio distintivo di Disney, la fanciulla era adeguatamente bella aggraziata e pura, e sostanzialmente inerme davanti ai mali del mondo, il principe era adeguatamente bello e di rango sociale elevato, e destinato quindi anche a una funzione salvifica dalle grinfie. Le cattive donne adulte angariavano in vario modo la donna giovane che è incapace di difendersi, ma alla fine il bene trionfava e le nozze con il principe protettore preludevano al vissero felici e contenti.
Anche Rapunzel originariamente seguiva lo stesso schema, ma questa volta gli studi di Disney hanno deciso di intervenire pesantemente sulla trama, pur mantenendone alcuni elementi caratteristici. Nella trama originale, quando la regina è incinta desidera mangiare i ravanetti dell’orto della strega, che si chiama dama Grothel. il re glieli va a prendere ma viene sorpreso e per potersela cavare promette di consegnare la figlia nascitura alla strega, la quale essendo vecchia e infertile ha bisogno di una giovane servetta, che relega a fare le faccende nella torre. Nella storia di Disney, non ci sono ravanetti, c’è un fiore magico che solo può salvare la vita alla regina. E’ in possesso di dama Grothel che lo usa, egoisticamente, per conservare se stessa sempre giovane e bella, per non invecchiare, e quindi anche per non morire lei stessa. Non si capisce bene perché, secondo Disney, dovrebbe invece offrirlo altruisticamante per salvare la vita alla regina. Comunque, visto che lei non lo fa, i soldati vengono mandati e le sequestrano il fiore. La regina viene guarita, e le magiche proprietà ringiovanenti del fiore si trasferiscono nei capelli della bimba. Per questo Dama Grothel rapisce di notte la piccola e la sequestra nella torre, dove quando la pettina ottiene nuovamente di poter tornare giovane. E’ l’ossessione per il corpo giovane e bello che diventa la radice del male.
Alla radice del male nella fiaba c’era invece una trasgressione , un diritto violato: l’orto apparteneva alla strega. Nel cartone c’è una lotta tra due egoismi, quello della regina e quello della strega, o forse lo scontro tra due pulsioni di vita, quella della regina e quella della strega. E alla fine ci viene mostrato che questo è uno scontro fra due stili di vita, quello della regina che è madre e che è accoppiata a un vecchio e saggio Re che ama sia lei sia la sua bambina, messo in contrasto con lo stile di vita della donna sola che vuole rimanere eternamente giovane e tenersi tutto per se. Il primo trionfa, il secondo porta alla dannazione. Ci si chiede spudoratamente di parteggiare per un lato, ma all’inizio del film non ci si spiega bene perché, salvo perché è il lato dei kalos k’agathos;, e alla fine del film la sconfitta della strega che cade nel suo stesso precipizio diventa essa stessa la ragione che giustifica il nostro parteggiare per la regina e per la principessa sua erede: i vincenti hanno sempre ragione e i perdenti hanno sempre torto.
Nel cartone si prende a prestito come movente della strega quello che era della matrigna di Biancaneve che era una narcisa ferita, e la competizione con la bellezza della figliastra era alla radice del suo odio. Ma qui non si capisce bene cosa sia, simbolicamente parlando, questo fiore magico: è la tecnologia usata per scopi egoistici? E perché visto che è così potente non si può dividere e non ne possono beneficiare tutti?In una storia intessuta di simboli, ce n’è uno fondamentale che non simboleggia niente…
Ma il maggior cambiamento è nelle personalità della fanciulla e del principe. La Rapunzel del cartone è tutt’altro che sprovveduta e imbelle, è una che ha i suoi sogni, i suoi progetti, e se la sa cavare da sola, se necessario a colpi di padella. Giustamente, perché le ragazze di oggi non possono riconoscersi nelle principesse di una volta, tutto look e niente smart. Magari ogni tanto ha una crisi, e oscilla colpevolizzandosi tra il ruolo della figlia obbediente e quello della donna che persegue il suo progetto, ma fondamentalmente Rapunzel di Disney è una che sa cosa vuole, e quello che vuole è andare nella scena pubblica, vuole andare a vedere le lanterne che in suo ricordo ogni anno i veri genitori lanciano nel cielo, vuole prendersi il suo posto nel mondo, non certo di rintanarsi in un’altra torre di tipo matrimoniale.
Il principe invece non è un principe: è un ladruncolo, piuttosto infingardo, che anche nel corso del film non compie alcuna particolare prodezza, anzi, cerca di svignarsela appena può. La sua virtù principale è di essere di bell’aspetto, e forse di avere un certo senso dell’umorismo. Si svela anche che in realtà cerca di fare il guappo perché era un bambino abbandonato e timido. Solo alla fine, miracolosamente, decide di innamorarsi di lei – o comunque decidere di accettare l’opportunità certamente notevole che gli si offre: di venire da lei risuscitato quando è già morto, e di potere infine impalmare una principessa, lui che, socialmente parlando, non era nessuno. Insomma, un toyboy, un bamboccione che per fortuna incoccia in Rapunzel, altrimenti per uscire dalle sue difficoltà non aveva trovato di meglio che la scorciatoia di mettersi a fare furti con destrezza dei brutti ceffi, e chissà come finiva.
Insomma lo schema è: non è che c’è un vero motivo per innamorarsi e convolare a giuste nozze formando una nuova coppia, salvo che è l’unico modo per venir fuori dalle grinfie delle madri iperprottive e/o ipernarcisiste, e che gli uomini sono tanto carini, un po’ sciocchi, e hanno bisogno di ragazze in gamba come noi. E poi qualcosa nella vita bisogna pur fare, perché non si può vivere senza sogni: tanto vale, l’amour!
Mia figlia di 13 anni era molto contenta all’uscita del film. Io ero un po’ irritata per l’attacco eccessivamente plateale alla vecchia strega single. Ma soprattutto ero un po’ perplessa: i principi si trasformano in Re, ma come diavolo farà il nostro furbetto perdigiorno a trasformarsi in un venerabile uomo di governo come è suo suocero? E’ chiaro che non è in grado di farlo, e le ragazze di oggi sono abbastanza accorte da capire che da queste premesse risulta che toccherà a loro essere re e regine insieme, essere regine senza ma senza un vero re come un tempo al fianco, essere insomma donne adulte autonome e sole, ancorchè formalmente accoppiate..
Oppure succederà qualcosa, qualcosa sul mercato del lavoro, qualcosa nelle carriere, qualcosa nei soffitti di vetro, una vera magia che trasformerà quel simpatico bamboccio in un Re e la nostra Rapunzel in una mite regina consorte? Staremo a vedere: per adesso, Rapunzel ci trasmette il senso di un ordine simbolico” in mezzo al guado”: che sta evolvendosi, ma ancora non si sa verso dove. Il cavallo, il camaleonte, la feccia che sogna sono gustosissimi,e se siete interesati all’evoluzione delle relazioni di genere vale la pena di andare a vedere Rapunzel.